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Al voto per un paese miglioreAGOSTO 2022.

“L’Italia ce la farà anche questa volta, con qualsiasi governo”.

A meno di un mese dalle elezioni, anche il mondo dello sport si interroga su quale sarà il futuro dell’Italia, dopo il 25 settembre. Per adesso, resta nella memoria quella che è stata definita “la crisi più pazza del mondo”. In realtà, nessun evento politico dovrebbe ormai meravigliare, nel nostro paese e in generale, sia per quantità che per qualità. Abbiamo assistito, negli ultimi settantacinque anni, a ben sessantasei crisi di governo (avete letto bene). Nel corso di una stessa legislatura si sono avvicendati, infatti, e per ben più di una volta, anche sei governi diversi, con differenti maggioranze, ministri e Presidenti del Consiglio. Nulla di nuovo, quindi. Anche per quanto riguarda le modalità, solo per restare agli ultimi decenni, ne abbiamo viste di tutti i colori. Dal ribaltone provocato dall’alleato Umberto Bossi nel primo Governo Berlusconi, alle due cadute dei Governi Prodi I e II, entrambi per scissioni interne di partiti di maggioranza. Ventisette parlamentari su quarantuno di Rifondazione Comunista, nel primo caso, due su tre dell’UDEUR di Clemente Mastella (Ministro della Giustizia), nel secondo. Per finire con l’avvicendamento interno nello stesso partito fra Enrico Letta e Matteo Renzi, versione moderna di quanto avveniva negli anni ’60 e ’70 nella vecchia DC, dove il foglio di via ai Premier veniva dalle faide interne fra le correnti, senza dimenticare il passaggio dal Conte I al Conte II: stesso Presidente del Consiglio e stesso partito di maggioranza relativa, ma due coalizioni d’idee politiche totalmente opposte… L’eccezionalità delle circostanze che hanno fatto nascere il Governo “di solidarietà” di Mario Draghi, fanno invece contrasto con le modalità con cui è caduto, dopo poco più di un anno. Non tanto perché, ancora oggi, nessun partito si è assunto la responsabilità della caduta (unico ad avere un alibi, in definitiva, il solo che è sempre stato all’opposizione), ma perché mai si erano viste dimissioni di un Governo accolte in questo modo, senza alcun entusiasmo ma, a ben vedere, anche senza alcun vero dispiacere. La campagna elettorale ha avuto finora pochi sussulti, in grado di invertire un trend dove la previsione sull’astensionismo, nonostante l’importanza della posta in palio, supera addirittura il 30%. Il maggiore impegno, finora, si è visto solo in tre ambiti. Creare e smontare alleanze, saltare da un partito a una coalizione, con l’obiettivo di garantirsi un’elezione che sarà comunque più difficile che in passato, fra limiti del doppio mandato e tagli alle poltrone. Ricercare, anche in epoche passate, comportamenti discutibili frugando vita privata, interviste e social, fra chi milita nel campo avversario. Infine, il grande classico, quello delle promesse elettorali: quattordicesima per tutti, flat tax per le imprese, riforma pensionistica, stipendi super per gli insegnanti… Tutto già sentito e, in questo periodo, abbastanza irrealizzabile. Anche il mondo dello sport non fa eccezione.

Nel bel mezzo di una Riforma dello Sport che, ormai, sarà portata avanti da una classe politica ben diversa da quella che l’ha ideata, con prevedibili conseguenze, il dibattitto si è fermato sulla futura spartizione degli ormai tanti posti disponibili: Coni, Sport e Salute, Ministero o Dipartimento dello Sport, Olimpiadi di Milano/Cortina e relativi management e gruppi dirigenti… Condividendo la proposta di Retinopera, il network che unisce 24 fra le più grandi organizzazioni di ispirazione cristiana del mondo del lavoro, del sindacato, dell’associazionismo e del volontariato, il mondo dello sport, e non solo, potrebbe sensibilizzare la politica almeno su questi dieci punti condivisi. Favorire l’integrazione fra le nazioni europee, e l’impegno per ristabilire e mantenere la pace. Valorizzare la formazione, non solo scolastica, di ogni ordine e grado. Risolvere i problemi dell’immigrazione, recuperando la dignità degli stranieri e il loro inserimento nella società. Lottare in modo concreto contro tutte le forme di povertà. Creare posti di lavoro stabili, duraturi e con alti livelli di sicurezza. Promuovere la riforma della giustizia. Affrontare il problema dell’ambiente e delle emergenze climatiche. Difendere la produzione agroalimentare, la salute, attraverso il cibo, e garantire l’accesso all’acqua. Perseguire politiche attive a difesa degli anziani. Favorire la famiglia e la natalità. Sono tutti temi decisivi, che richiedono riflessione e impegno. Spicca, in quest’occasione, la mancanza di indicazioni di voto da parte della Chiesa italiana. Non per disinteresse, anzi il contrario; come più volte sottolineato dal Presidente della Cei e Cardinale di Bologna Matteo Zuppi, non è più tempo di deleghe in bianco, che deresponsabilizzano gli elettori. Occorre una partecipazione in prima persona. Prima di tutto, evitando l’astensionismo. Poi, formandosi ciascuno, con un discernimento personale, un’opinione sociale e politica. Infine, prendendo parte alla vita della società civile, se non attraverso un partito, facendolo nei tanti organismi intermedi delle associazioni e del volontariato. Perché anche la frase di Mario Draghi non diventi un tirare a campare, o un affidarsi alla buona stella: “L’Italia ce la farà anche questa volta, con qualsiasi governo”.   

Andrea De David

presidenza@csibologna.it

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